Il fenomeno dell'Opera lirica

La Messinscena dell’Opera

Nella misura in cui a rappresentare i diritti di un’opera è la casa editrice e non il teatro, anche la sua produzione viene considerata un elemento da tutelare. La figura dell’editore-impresario, incarnata in modo eccezionale da Giulio Ricordi, accanto alla tutela dei diritti su musica e testo, assegna all’editore anche il compito di vigilare sulla messinscena, l’allestimento e il cast degli interpreti: espressione del desiderio di una sorta di “garanzia qualitativa” del prodotto in questione. L’idea della mise-en-scène viene dalla Francia, e Giulio Ricordi la riprende e la sviluppa nelle cosiddette “disposizioni sceniche” (le attuali istruzioni per la regia). Nell’Archivio sono conservati gli originali, in parte autografi, di numerose disposizioni sceniche. Alcune sono in diversi volumi, destinati alle varie persone coinvolte nella produzione: il direttore d’orchestra (“maestro d’orchestra”), il sarto, il “direttore di scena” (l’odierno regista). Quelle per un’opera importante come il Mefistofele (prima versione 1868 / seconda versione 1875) di Arrigo Boito sono ad esempio suddivise in tre volumi: il primo è un’edizione completa per il “direttore di scena”, il secondo è un’edizione per i sarti e gli attrezzisti, il terzo un’edizione per i “maestri” (i direttori d’orchestra). In più ci sono istruzioni per i cantanti, un glossario di terminologia teatrale e una lista del materiale di scena (tre pagine e mezza). Le disposizioni sceniche per la rappresentazione del Mefistofele alla Scala nel 1881 furono compilate da Giulio Ricordi stesso secondo le istruzioni del compositore, e descrivono accuratamente ogni movimento scenico, ogni dettaglio dello scenario e del materiale di scena, nonché la sua collocazione ed impiego.

Nel tema della messinscena rientrano anche la scenografia e i costumi. In questo senso l’Archivio vanta dei veri e propri tesori. Possiede infatti gli schizzi originali di scene e costumi realizzati da numerosi disegnatori di fama, come Adolf Hohenstein, Alfredo Edel, Giuseppe Palanti e altri ancora. Il loro lavoro testimonia la raffinatezza e la meticolosità nella realizzazione delle scenografie dell’epoca, ed è essenziale per l’inquadramento storico e culturale delle rappresentazioni teatrali.

Lo stesso vale per i disegni preparatori dei costumi: i figurini. La collezione è ampia e diversificata. I figurini sono talvolta corredati da campioni di tessuti e istruzioni per la sartoria. Il fascino di questi straordinari reperti è difficilmente comunicabile mediante una riproduzione digitale: bisogna vederli, prenderli in mano, toccare i materiali, distendere i campioni, per rendersi conto della cura con cui questi lavori venivano eseguiti. Emerge così il quadro di un’epoca in cui l’identità specifica di ogni produzione acquista sempre maggiore importanza. Al mondo seicentesco e settecentesco, ancorato ai tipi fissi e alle convenzioni del genere, subentra qui una concezione teatrale che di volta in volta si accorda individualmente al contesto storico, e che rappresenta il primo passo verso un teatro orientato alla centralità della regia. Gli sforzi di Ricordi a favore di riproduzioni fedeli, sono espressione di un’estetica dell’opera d’arte totale che, come accade in Germania con Wagner, diventa popolare anche in Italia ed esige una drammaturgia esatta di tutte le componenti del teatro musicale: orchestra, cantanti, testo, scenografia e costumi.

Notevoli sono anche i figurini realizzati dal pittore Giuseppe Palanti (1881–1946) negli anni 1902–1904, per le messe in scena alla Scala di Milano di Un ballo in maschera, Rigoletto, Luisa Miller di Verdi, e di Madama Butterfly di Puccini. Così non solo possono essere desunti la concezione e l’allestimento di volta in volta adottati per la rappresentazione d’esordio delle opere, ma attraverso i diversi esempi è possibile ripercorrere anche la storia della scenografia e della regia teatrale. Il mutamento dell’industria operistica all’inizio del XX secolo, che coinvolse nella stessa misura l’editoria, il teatro, l’estetica e la funzione sociale dell’opera, ebbe infatti anche delle ripercussioni sul monopolio dell’interpretazione. L’emergere di tendenze discordanti nell’estetica contemporanea – fiducia cieca nella tecnica, (auto)stilizzazione ed esaltazione dell’uomo, crisi del soggetto moderno, psicologia e critica dell’idea di progresso – influisce anche sull’opera e sulle sue rappresentazioni. L’Archivio dispone di materiale prezioso per l’indagine di queste nuove correnti.