Verdi e Puccini

Giuseppe Verdi

“Il materiale contenuto nell’Archivio è d’interesse per il mondo intero”

Pierluigi Petrobelli

Se all’inizio dell’Ottocento gli esponenti più importanti della “scuderia” Ricordi sono Rossini, Bellini e Donizetti, oltre a compositori all’epoca popolari come Vaccaj e Mercadante, a partire dal 1839, con l’ingresso in scena di Giuseppe Verdi, si apre un nuovo capitolo nella storia operistica e in quella della casa editrice. L’era di Verdi, che copre gli anni della direzione di Giovanni e Tito I e arriva fino ai tempi di Giulio, rappresenta sicuramente il periodo più importante della storia di Casa Ricordi. L’Archivio dispone di autografi e libretti, lettere, bozzetti, figurini di numerose prime, e la documentazione quasi integrale relativa alla stipula dei contratti.

La storia del successo delle prime opere di Verdi coincide con la storia del Risorgimento e dell’Unità d’Italia. La quantità di studi sul periodo di formazione degli Stati nazionali in Europa in relazione all’attività operistica di Verdi è sconfinata, ma le questioni che si pongono in merito a questa tematica non sono ancora definitivamente chiarite, e l’analisi dei documenti getta anzi una nuova luce su problemi apparentemente già risolti.

Il celebre coro dei prigionieri, Va’ pensiero, sull’ali dorate, nel Nabucco, diventa un simbolo del popolo italiano oppresso e delle sue aspirazioni unitarie; e nel corso della rivolta anti-austriaca scoppiata sei anni dopo la prima del Nabucco, le Cinque Giornate di Milano, assurge addirittura a “inno nazionale segreto dell’Italia”. L’effetto di identificazione che le opere di Verdi avrebbero prodotto nell’Ottocento su tutta la popolazione è ancora oggetto di discussione e rientra per certi versi nel campo della “leggenda”, come del resto il ruolo di Verdi stesso in proposito. La musica operistica era una musica d’arte, quindi solo di rado le arie delle opere scaturivano dal patrimonio della musica popolare, e le melodie dei canti popolari non venivano recepite dall’opera se non a livello di colorito locale. La musica popolare non aveva del resto un carattere nazionale, ma piuttosto regionale – ancora oggi individuabile nelle vitali tradizioni folcloristiche siciliane, napoletane o sarde, per fare solo qualche esempio. Le arie operistiche tuttavia venivano accolte anche nel repertorio delle bande musicali che le diffondevano, rendendole popolari. Ne sono un esempio i cataloghi Ricordi del tardo Ottocento e del primo Novecento che contengono una vasta gamma di musica bandistica. Goethe stesso ne parla nel suo Viaggio in Italia, facendo però una distinzione tra queste espressioni musicali e il “canto popolare” italiano, di cui a Venezia si fece dare un saggio dai gondolieri, apprendendone in tal modo la vera natura: “Ma l’idea di questo canto diventa umana e vera, e la melodia, la cui lettera morta ci aveva torturato il cervello, diventa viva”. Ovviamente i confini tra il canto popolare e la musica d’arte sono piuttosto sfumati, e il significato della banda musicale è analogo a quello che in una società borghese in fase di sviluppo veniva assegnato alla musica amatoriale tra le pareti di casa. Una componente importante della produzione di Casa Ricordi è costituita perciò dalle edizioni delle tradizionali “romanze” italiane, ma anche di brani operistici nelle trascrizioni per pianoforte, canto e piccoli ensemble. L’Archivio custodisce, in effetti, anche numerose edizioni a stampa, partiture e riduzioni pianistiche delle opere, e una collana come la Biblioteca Musicale Popolare documenta come Casa Ricordi promuova e soddisfi le richieste della clientela amatoriale e la musica d’interesse popolare. Il materiale d’archivio permette di ricostruire anche la storia di questo ambito di attività musicale, sulla base di musica e testi, illustrazioni e corrispondenza. L’istituzione dell’opera in sé, nell’Italia ottocentesca riguarda comunque di regola gli strati benestanti della popolazione. In genere, i semplici cittadini non potevano permettersi di andare all’opera. Nei teatri vigeva un severo codice riguardo all’abbigliamento, ed è ampiamente provato che vi era ammesso solo un pubblico composto di nobili ed esponenti dell’alta borghesia. Intorno alla metà del XIX secolo, l’80% degli Italiani è ancora analfabeta. Nel 1859 viene introdotto con la legge Casati l’obbligo di istruzione elementare, ma nel 1861 la quota ammonta ancora al 75%; nel 1901 scende a 50%, ma persiste tuttavia un divario tra la popolazione delle città e quella rurale. Un grosso ostacolo all’alfabetizzazione era rappresentato, inoltre, dalla lentezza nel processo di formazione di una lingua nazionale unitaria e condivisa.

L’effetto immediato delle opere di Verdi durante il Risorgimento riguarda quindi solo una piccola élite. Sul finire dell’Ottocento l’identificazione con Verdi si estende anche a strati più vasti grazie alla popolarità delle arie verdiane diffuse dalle bande e, a partire dal nuovo secolo, all’avvento dei nuovi mezzi di riproduzione, la radio, il grammofono, e infine al calo dei prezzi dei biglietti d’ingresso ai teatri. Tutto ciò non esisteva ancora al tempo del Risorgimento, eppure nel discorso su questo periodo storico le opere di Verdi, Nabucco (1842), I Lombardi alla prima crociata (1843) Il corsaro (1848), La battaglia di Legnano (1849), Un ballo in maschera (1859), sono entrate a far parte del mito della fondazione dell’Italia unita.