Il Carteggio tra Vincenzo Bellini e Giovanni Ricordi

Il Carteggio tra Vincenzo Bellini e Giovanni Ricordi

di Graziella Seminara

Nessuna ricostruzione storica potrebbe raccontare meglio della corrispondenza epistolare tra Vincenzo Bellini e Giovanni Ricordi il faticoso percorso del teatro d’opera in Italia verso la modernità. I protagonisti di questo carteggio, di straordinario interesse documentario, provenivano da mondi profondamente differenti e, per ragioni diverse, marginali.

Bellini, che da Catania si era spostato a Napoli per ricevere una solida formazione accademica presso il Real Collegio di Musica di San Sebastiano, nel giro di pochi anni giunse a conquistare i principali teatri d’Europa con una carriera folgorante, che dalla travolgente affermazione al Teatro alla Scala con Il pirata (1827)[1] lo avrebbe condotto al trionfo dei Puritani al Théâtre Italien di Parigi (1835): un successo tale da corrispondere alle ambizioni del giovane musicista, che si era proposto di «formare un’epoca musicale»[2] e di imporsi come «primo dopo Rossini»[3] nel panorama operistico internazionale.

Ricordi, che aveva mosso i primi passi come stampatore di musica e si era insediato a pochi passi dal Teatro alla Scala in contrada Santa Margherita, nel cuore della «produzione intellettuale e libraria»[4] di Milano, nel 1808 – dopo un soggiorno a Lipsia presso Breitkopf & Härtel – decise di fondare una propria casa editrice: in breve tempo sarebbe diventato il primo editore musicale d’Italia e tra i principali rappresentanti dell’editoria musicale europea, in possesso di un archivio di immenso valore che avrebbe lentamente costituito grazie all’attività di copista presso i principali teatri milanesi e alla progressiva acquisizione di altri fondi musicali.

La collaborazione tra Bellini e Ricordi ebbe inizio con il successo del Pirata e sarebbe proseguita ininterrottamente sino alla scomparsa del musicista. La corrispondenza di cui disponiamo comincia invece con una lettera scritta da Bellini a Parma il 20 marzo 1829, mentre attendeva alla composizione di Zaira, e si conclude con una minuta redatta dal musicista il 3 settembre 1835, a pochi giorni dalla malattia che lo avrebbe condotto alla morte. Gran parte delle lettere tra i due corrispondenti occupa gli anni dal 1833 al 1835, con un significativo incremento delle missive firmate da Ricordi negli anni ’33 e ’34: quelle missive facevano parte dei beni in possesso di Bellini a Parigi, che Rossini si premurò di inviare alla famiglia dopo il decesso del musicista, e sono confluite nel cospicuo fondo di partiture, schizzi e lettere autografe custodito nel Museo Civico Belliniano di Catania. Si tratta di una circostanza eccezionale, che ci ha permesso di ricostruire quasi senza soluzione di continuità il confronto che si sviluppò tra due protagonisti della vita musicale del tempo in anni cruciali per i destini del teatro d’opera.

La prima lettera del carteggio, quella del 20 marzo 1829, si caratterizza per un tono confidenziale che rivela la familiarità già raggiunta dai due interlocutori nei primi due anni di permanenza di Bellini a Milano:[5] gli attestati di stima e di amicizia, ripetuti soprattutto nelle formule di apertura e chiusura delle lettere, non impedirono infatti che il rapporto tra il musicista e Ricordi si sviluppasse all’insegna di una franchezza intrisa di ironia ma non di rado aspra e aggressiva e tuttavia sempre sostenuta da un atteggiamento di reciproca lealtà, che consentì loro di superare i momenti di incomprensione e di scontro.

La corrispondenza rivela inoltre la ricchezza delle due personalità. Ricordi, che aveva iniziato la sua attività tenendo il ruolo di primo violino nell’orchestra del Teatro delle marionette di Giuseppe Fiando a Milano, aveva competenze e gusto musicali ed era in grado di dialogare con il musicista su problemi tecnici e temi di drammaturgia musicale. Sicché Bellini poteva concordare con il suo editore un tacito intervento su alcuni ‘numeri’ della riduzione per canto e pianoforte della Straniera su cui stava lavorando Luigi Truzzi, curatore di tutti gli spartiti belliniani stampati da Ricordi: pur preoccupandosi di non recare offesa a un collega («Per questi due pezzi vi raccomando che non sia in alcun modo compromesso il mio onore»), il musicista aveva ritenuto opportuno rivedere lo spartito per «accomodare, si puol dire, il modo d’accompagnare il canto».[6 ]A sua volta Ricordi sapeva cogliere con perspicacia la specificità dell’arte belliniana laddove constatava l’inadeguatezza dell’edizione dei primi ‘numeri’ dei Puritani, che l’editore parigino Antonio Pacini aveva pubblicato in maniera incompleta (senza i recitativi e senza le parti vocali di complemento) secondo la maniera francese:

Anche per ciò che riguarda i pezzi stampati finora non ho quello smercio che avrei avuto se non fossero così mutilati, perché d’ogni parte mi sento ripetere la stessa canzone – Aspetteremo quando ci saranno i pezzi o l’opera completa, perché così storpiati non sentesi il far largo e patetico, e la filosofia del canto di Bellini.[7]

E ancora, durante il soggiorno di Bellini a Parigi Ricordi discusse a lungo con il musicista sulla scelta del poeta al quale affidare il libretto dell’opera destinata al Théâtre Italien. L’8 marzo 1834 scriveva:

Sono anch’io del vostro parere che potendo avere Romani sarebbe una gran bella cosa, ma come fidarsene? D’altronde all’ottobre non ci sono che sei mesi, per cui mi sembra che in mezzo a tanti e sì famosi autori teatrali che v’hanno in Parigi, non vi dovrebbe esser difficile d’incaricarne qualcuno per la scelta del soggetto e per la disposizione e distesa del Dramma. Il farlo poi italiano non sarà molto difficile, bastando allora che il poeta italiano sia un buon versificatore.[8]

Più avanti l’editore si sarebbe persino permesso di manifestare perplessità sul testo poetico di Carlo Pepoli, trovando riscontro nel giudizio dello stesso musicista:

Mio caro Ricordi – Pel libro avete ragione, e Mad:e Pollini è testimonio di quanta disperazione mi costò; ma le situazioni sono tenere, ed in scena sono di molto effetto, solamente, se la rappresenteranno a Milano, si dovrebbe da qualch’uno, fare in modo di ridurre il dialogo più comprensibile, e più scenico – Se io venissi in Italia (cosa difficile) forse pregherei Romani di rifarne i versi, vi giuro che allora sarebbe un’opera interessantissima, perché le situazioni sono carissime e tenerissime: sino, han commosso i cuori francesi, ed è un gran dire, veder piangere nel teatro Italiano di parigi. [9]

Da parte sua Bellini, in anticipo rispetto ai colleghi italiani, sin dagli esordi milanesi manifestò una concezione affatto moderna del lavoro compositivo e si impegnò strenuamente perché anche in Italia venisse tutelato il principio giuridico della proprietà intellettuale, cioè di quella che il musicista definiva «proprietà degli ingegni».[10] In questa battaglia Bellini si mosse in piena sinergia con Ricordi sulla base del comune interesse a difendere le partiture originali di Sonnambula, Norma e poi dei Puritani, alle quali gli impresari preferivano copie abusive ricavate dalle riduzioni a stampa per canto e pianoforte. I Carteggi registrano puntualmente lo sconforto del compositore e dell’editore dinanzi all’impossibilità di arginare il fenomeno della pirateria musicale, determinata dall’assenza di un quadro legislativo definito – e condiviso dai vari stati italiani – in difesa del diritto d’autore. Il 12 novembre 1833 Ricordi scriveva a Bellini in merito al «Conto della Sociale proprietà della Sonnambula»:

Mi duole però che non troverete i risultati de’ prodotti della Sonnambula quali forse ve li figurerete, giacché questo Spartito o diramato da’ luoghi dove si diede, od istrumentato sulle riduzioni, trovasi ora dapertutto, né alcuno più si rivolge alla vera fonte, per paura di dimande troppo sostenute. Né puossi neppure trovar sostegno nello Stato per impedirne il commercio e l’esecuzione, perché ora sì la Polizia che la Censura non si vogliono incaricare di difendere la proprietà di spartiti riguardo all’esecuzione ne’ teatri, diffidando le parti a rivolgersi ai tribunali, per cui bisognerebbe avere in piedi cento liti, sul cui esito non si può più contare dopo che ebbi a perdere la causa contro Lucca per l’Anna Bolena. Difatti ora si fa dapertutto e l’Anna Bolena e la Chiara di Rosemberg, e la Norma, e tante altre opere di mia e di altrui proprietà senza poter porre impedimento legale agli usurpatori.[11]

Un anno dopo l’editore ripeteva stancamente le sue vane recriminazioni:

Che vi dirò della Norma? Quello che dovrei dirvi, che già vi dissi, della Sonnambula, della Chiara, dell’Anna, e di tutte le altre opere di una proprietà sì mal tutelata dalle leggi ed in balia d’ogni ribaldo, o siano i veri spartiti, o siano copie falsificate e bastarde, contro le quali è vano il gridare dei maestri vano il parlar ne’ giornali, vano il perorare nelle lettere, ché sempre l’avarizia degli impresarj prevale ad ogni giustizia, ad ogni pudore, e purché un’opera porti in fronte il titolo, e costi pochi quattrini, essi non badano più che tanto che sia l’opera del Maestro o di qualche vile pasticciere –

Tutta Italia, tutta Germania, tutta Europa è innondata di Norme.[12]

Problemi non dissimili si sarebbero presentati per I Puritani, in un contesto editoriale peraltro in parte diverso. Nei primi mesi del 1834 Ricordi riuscì a condurre in porto un accordo con Bernardo Girard, che a Napoli aveva assicurato alla sua ditta lo status di “Calcografia e Copisteria de’ Reali Teatri”: da lui l’editore milanese ottenne per gli Stati austriaci il diritto di stampa delle riduzioni per canto e pianoforte di tutte le opere nuove allestite nei teatri partenopei e pose fine in tal modo ad anni di tensioni più o meno sotterranee con la piazza napoletana. D’altra parte nella piazza milanese Ricordi si trovò ad affrontare una situazione inattesa a seguito dell’espansione di alcuni concorrenti tradizionali: mentre Epimaco Artaria apriva una calcografia a Novara, Francesco Lucca aveva contribuito alla costituzione a Chiasso di una nuova casa editrice denominata “Euterpe Ticinese”. Di essa si dava notizia in un Avviso “Ai dilettanti di musica”, pubblicato il 26 novembre 1833 nel Supplemento al n. 47 della «Gazzetta Ticinese»:

Un eccessivo dispendio per l’acquisto delle novità, al più delle volte, occulta i frutti felicissimi delle chiare menti che trattano i segreti del loro estro. A togliere siffatto inconveniente, ci siamo risolti di offrire agli amatori un’associazione sotto il titolo:

L’EUTERPE TICINESE

la quale racchiuderà in se quanto di più applaudito si produrrà tanto in Italia che presso qualunque altra nazione.

Questo nuovo stabilimento esistente in Chiasso, Cantone Ticino, oltre di offrire a’ suoi avventori, appena nate, tali produzioni, promette altresì nitidezza ed eleganza d’incisione, se non superiore né manco inferiore a quelle di Francia; scelta ed ottima carta, e quello finalmente, che è il più interessante, il limitatissimo prezzo eccedente non la metà del fin qui praticato.[13]

Utilizzando il marchio di «Euterpe Ticinese», Lucca poté così smerciare in Svizzera e immettere sul mercato italiano non solo edizioni proprie ma anche musiche stampate da altri editori, come Ricordi riferiva a Bellini in una lettera ricolma di rabbia impotente:

Lucca in società con Artaria e Pertuzzi posero una stamperia a Chiasso in Svizzera sotto il titolo di Euterpe Ticinese per ristamparvi tutte le proprietà e di là non solo contrabbandarle in Milano ma diramarle dapertutto, e sono già inanzi nelle loro edizioni, cosicché ad una ad una mi veggo ristamparmi sotto gli occhi opere che mi costano tanto, e le veggo prostituite a prezzi vilissimi, onde abbattere le mie edizioni. [14]

In più, dopo la messinscena dei Puritani tanto Lucca che Artaria offrirono agli impresari teatrali copie della partitura spacciate per originali e stamparono in riduzione per canto e pianoforte diversi ‘numeri’ dell’opera. Lo scorno era tanto più grande in quanto Ricordi – che aveva acquistato da Eugène Troupenas i diritti di stampa dei Puritani per gli stati austriaci – in virtù del contratto stipulato era vincolato a non pubblicare lo spartito completo prima dell’editore francese:

Quello che poi più a me importa, si è che questo spartito è nelle mani di Lucca e d’Artaria; che il primo ha una calcografia a Chiasso come già sapete, ed il secondo a Novara dove ne eresse una recentemente. Che questi due, vincolati da nulla, potranno ora stampare i pezzi già pubblicati, ma ridotti intieri e non mutilati come i miei, che mi costano tanto, e che perciò non possono vendersi molto; e quello che è peggio stamperanno tutta l’opera completa, e la dirameranno per tutto, mentr’io me ne starò coi miei nove pezzi storpiati ad aspettare che intanto si diano per tutto le loro edizioni, prima che mi giunga il permesso e i mezzi di stamparla completa io pure![15]

Quanto a Bellini, non poteva che commentare con stizza e amarezza lo stato dell’editoria musicale italiana:

Mai ho incontrato tanta malafede quanto nel rubarsi che fanno alcuni editori d’Italia. Finalmente spero che non la faranno più a me, scrivendo pei teatri francesi, che se le opere piaceranno saranno interamente stampate a Gran partizione, e così tutto il mondo le avrà a 60: franchi la copia.[16]

Le inquietudini generate da questo stato di cose spiegano lo scontro durissimo che si determinò tra Bellini e Ricordi in merito alla vendita di una copia di Norma al Teatro dell’Opera Italiana di Dresda, diretto da Francesco Morlacchi; a far deflagrare la controversia fu una lettera a Bellini di Giuseppe Ciccimarra datata «Vienna, 3 maggio 1834», che per tale motivo è stata inserita in questo carteggio. Direttore del canto al Kärntnertortheater di Vienna, Ciccimarra era stato incaricato da Bellini – insieme al coreografo Louis-Antoine Duport – di curare la vendita della partitura di Norma a Vienna e nei teatri tedeschi; avendo appreso che Morlacchi aveva acquistato la partitura da Casa Ricordi, aveva scritto a Bellini che «il figlio del signor Ricordi di Milano che viaggia in Germania, giunto in Dresda, si è spacciato proprietario esclusivo del sopradetto spartito».[17] La lettera di Bellini a Ricordi è stata smarrita, ma possiamo desumerne la violenza dei toni dalla replica dell’editore:

La vostra lettera del 4 corrente è sì offensiva, che non so come abbiate potuto scriverla ad un amico che conoscete da tanti anni, ad un uomo che vi ha dato continue e non dubbie prove della sua onestà, e che in un lungo periodo di carriera commerciale non ebbe mai da nessuno una accusa sì sanguinosa come è quella che voi gli vibrate, giacché mi accusate nientemeno che di aver fatto de’ contratti della Norma di nascosto, a mio solo profitto e a danno di voi e di Lanari, proprietari della medesima. La sola risposta che dovrei fare a tale lettera sarebbe quella di […] rinunziare ad un’amicizia cui non arrossite di porre per prezzo la discolpa d’una turpe azione, che non dovevate mai e poi mai supporre in me. Ma conoscendo il vostro carattere vulcanico, che presto si lascia infiammare da speciose denunzie, ed amando io voi con più intensa e vera cordialità, che voi non amate me, ho preferito, non di discolparmi (che l’uomo onesto non ha bisogno di discolpe) ma di esporvi le cose come stanno realmente, onde veggiate quanto foste ingannato, e qual torto vi faceste nel correre addosso all’onesto Ricordi, al vostro amico sincero di tanti anni, con sì crudele ingiuria.[18]

Ricordi proseguiva rammentando a Bellini di aver ricevuto proprio da lui e da Lanari «in deposito una copia della Norma, perché ne facessi commercio per conto vostro, persuasi ambedue che, essendo io conosciuto nel mondo musicale come proprietario di un grande archivio di spartiti, e possessore di tutte le novità, le imprese ed i negozianti si sarebbero naturalmente a me diretti anche per questo spartito, come di fatto avvenne»;[19] e a riprova della correttezza propria e del figlio Tito allegava una lettera di Morlacchi, che veniva a smentire «le false asserzioni del Cicimarra».[20]

Le ragioni di Ricordi rabbonirono il musicista, che in una lettera di riconciliazione cercò giustificare le proprie intemperanze adducendo a propria discolpa l’influenza della terra natale e ancor più il peso sfibrante di una professione dura e competitiva, svolta in un ambiente – quello teatrale – avvelenato da gelosie e invidie:

Tutto questo amalgamento di cose non avrebbero fatto perdere la testa anche al Diavolo? e volete e pretendete che non la facessero perdere ad un Siciliano? […] Mio caro amico, io son giovine, ed ora incomincio a conoscere il mondo: voi sapete di quali imbrogli è formato, e sapete che sbagli si commettono con persone che non si dovrebbe: ma alla volte non è la convinzione, ma uno è sì maltrattato si trova sì spesso dupé che nella rabbia non vede ciò che fà.[21]

Non bisogna pensare tuttavia che il Bellini si limitasse a tali private recriminazioni. Al contrario agì in prima persona, in tutti i modi e in tutte le forme possibili, per difendere il valore delle proprie opere: con azioni giudiziarie, come quella intentata insieme a Ricordi e Lanari «contro gli usurpatori del nostro spartito i Capuleti e Montecchi»;[22] con pubblici “avvisi”, come quello divulgato su «L’Eco» del 5 dicembre 1831, nel quale si rivolgeva «alle Direzioni Teatrali, ai signori Impresarj e Negozianti di Musica, pregandoli a voler riguardare come spurio ogni spartito della Sonnambula che loro venisse offerto, fuorché le copie da me segnate o dal signor Giovanni Ricordi, presso il quale si trova l’unico originale»;[23] con lettere personali a singole personalità politiche, come quella inviata nel febbraio del 1832 a Stefano Notarbartolo, duca di Sammartino e Ministro degli Affari Esteri e Interni del Regno delle due Sicilie, perché impedisse la diffusione di spartiti contraffatti di Sonnambula in tutti i teatri del Regno di Napoli.

Disilluso sulla possibilità di trovare un supporto certo nelle istituzioni giudiziarie, nel giugno del 1834 Bellini maturò l’intenzione di programmare la propria attività compositiva sul lungo periodo e sulla base di una coerente strategia editoriale. Come rivelano le lettere a Filippo Santocanale e ad Alessandro Lanari, allora impresario del Teatro di San Carlo, il musicista si proponeva di «scrivere a tutte le Imprese d’Italia e d’Alemagna offrendo un convenio per le due parti giovevole, ed è che io mi obbligherei di dare una copia di tutte le opere che andrò a comporre pei teatri d’Italia, dal 1835: in poi sino al 1838:»:[24] Bellini sperava in tal modo di smantellare in anticipo qualsiasi tentativo di contraffazione, poiché «se la proprietà non si vende avanti d’andare in scena, dopo, gli affamati editori e sensali sai qual macello fanno degli spartiti».[25] Il primo ad essere coinvolto in questo progetto fu naturalmente Giovanni Ricordi:

Permettetemi che vi faccia una domanda: volete voi fare un convegno meco di obbligarvi a comprare la proprietà dell’edizione delle opere che potrò scrivere nel corso del 1835: al 1838:? proprietà pei soli stati austriaci; più avere la partizione da poterla dare a qual teatro vi piace, ma la partizione non sarà solamente vostra proprietà, ma mia, non d’altri, e voi ed io la daremo a chi ne verrà domandata; quindi godrete del profitto di quei teatri che s’indirizzeranno a voi, come io di quelli che s’indirizzeranno a me. [26]

In questo caso Ricordi respinse l’offerta di Bellini, esponendo una ad una le proprie motivazioni:

La convenzione che voi mi chiedete di fare per 4 anni sarebbe da me tosto accettata se diversi ostacoli non si opponessero.

1. La durata di un contratto così delicato è troppo lunga, ed io devo dirvi la verità son nemico dei conti lunghi.

2. Non sapete che io ho la proprietà per Milano, e ora ho fatto il contratto per Napoli? […].

3. Una stamperia posta in vicinanza di 7 leghe da Milano sullo Stato Svizzero per ristampare tutte le mie proprietà, mi fa essere guardingo agli impegni che prendo di simil genere, giacché questi bisogna adempirli, e l’incasso non giova come dovrebbe, se tali infamità non fossero permesse o che so io.

4. La malvagità di certi editori di musica in Santa Margherita che hanno il coraggio e la sfrontatezza di mettere assieme gli spartiti col farli a capriccio sulle mie riduzioni ed anche col far comporre pure a testa i finali e le introduzioni che io non pubblico, promettendo agli impresari che sono copiati dall’originale. Per tutte queste cose e molte altre ancora mi hanno, a dire il vero, scoraggito in modo che non posso far contratti lunghi.

Spero che non disapproverete la mia maniera di pensare e che la vostra amicizia mi darà ragione.[27]

In quella stessa lettera Ricordi sollecitava Bellini a non badare «alle ciarle che vi possono scrivere qualche vostro amico non vero sul conto che il pubblico sia sdegnato per le cose particolari della Giuditta Turina»[28] e ad accettare la proposta di scrittura avanzata dal nuovo impresario della Scala, il duca Carlo Visconti di Modrone. La sua preoccupazione era che il musicista alzasse troppo la posta e si precludesse in tal modo il ritorno nel massimo teatro milanese:

Credo che vi sarà nota la gran rivoluzione avvenuta nel nostro teatro. Dal grado di miseria in cui era, il Duca a un tratto lo rialzò a molto splendore, scritturando la Malibran per 5 Stagioni al prezzo di 450/mila franchi. Voi vedete che questa circostanza esigerà anche che si scritturino e i migliori artisti ed i più rinomati maestri, per cui certamente saranno fatte delle proferte a voi prima d’ogni altro. Se però non isdegnate il consiglio sincero d’un amico qual’io vi sono (e voi ne avete prove per crederlo) io vi pregherei a non estendere le vostre dimande sì che si ponga impedimento al vedervi

scritturato. […] Scusate la libertà che si prende con voi un amico, ed abbiatela come una evidente prova del sincero attaccamento che ha per voi.[29]

Il carteggio tra Bellini e Ricordi è ricco di informazioni anche sull’attività artistica del musicista: contiene la prima allusione alle Sei ariette per camera pubblicate da Ricordi nel 1831 e dedicate a Marianna Pollini;[30] registra i progressi nella composizione di Beatrice di Tenda [31] e i diverbi sulle modifiche che Bellini doveva apportare allo spartito prima della sua pubblicazione;[32] accompagna la redazione dei Puritani e i ripensamenti belliniani relativi al piano drammatico-musicale dell’opera.[33] Né mancano le reciproche informazioni sugli allestimenti di spettacoli teatrali, dei quali ciascun interlocutore ragguagliava l’altro con valutazioni che colpiscono per la loro schiettezza. Così Bellini in una missiva del il 24 maggio 1832 commentava la messinscena di Sonnambula al Teatro della Pergola di Firenze:

Jersera ho inteso eseguire la Sonnambula la quale non si raffigura affatto affatto. Tutti i tempi a galoppo: la Caradori più ghiaccio del ghiaccio istesso: i cori gridano come energumeni: Il tenore Dupré dice assai bene l’aria del 2:do atto, e la Caradori, in parte, la cavatina del p‹ri›mo atto; il resto è orribile! Il cortese publico Fiorentino volle salutarmi ed onorarmi dei suoi applausi, avendo saputo che mi trovava in teatro, tanto che fui obbligato di mostrarmi per ben due volte da un palchetto ove mi trovava, per ringraziarlo ec: ec:[34]

Il carteggio Bellini-Ricordi offre dunque un vero e proprio spaccato del teatro musicale dell’epoca filtrato attraverso il rapporto tra un grande musicista e il suo editore, che ci viene restituito non solo nei vari confronti negoziali ma anche nella sua più autentica dimensione amicale. Al tempo stesso ci consente di seguire dall’interno le vicende di un’impresa editoriale capace nel volgere di un decennio di intrecciare una rete di relazioni di respiro europeo. Tra i nomi menzionati nelle lettere vi sono quelli di Domenico Barbaja, Giuseppe Crivelli, Alessandro Lanari, che detenevano l’appalto diversi teatri di primo piano, dalla Scala di Milano al viennese Kärntnertortheater, dal Teatro di San Carlo in Napoli alla Fenice di Venezia; dell’impresario del King’s Theatre, Pierre-François Laporte, e di Antonio Grua, che dal 1825 gestiva la sede aperta da Ricordi a Londra in Albermarle Street a Piccadilly; di Carlo Severini ed Edouard Robert, rispettivamente “Régisseur-Général-Caissier” e “Directeur-Entrepreneur” del Théâtre Italien di Parigi; degli editori Eugène Troupenas e Antonio Pacini, che egemonizzavano il mercato musicale parigino; di Pietro Soresi, che aveva assunto l’appalto del Teatro Carcano di Milano per la Stagione 1830-1831, e di Luigi Bertuzzi, che dopo aver lavorato alle dipendenze di Ricordi, aveva intrapreso un’attività in proprio in Contrada Santa Margherita; di Giacomo Zamboni, che in qualità di copista del Teatro La Fenice deteneva la proprietà delle partiture che vi si eseguivano, e di Gennaro Fabbricatore, concessionario di Casa Ricordi in Napoli.

In questo paesaggio vasto e variegato le personalità di Bellini e Ricordi spiccano per il loro spessore e la loro umanità. E non è un caso che il carteggio si concluda con una minuta di lettera, rimasta incompleta, in cui il musicista raccontava di essersi speso con tutte le sue forze per aiutare il collega Cesare Pugni, che si era scoperto responsabile della divulgazione illegale della partitura dei Puritani nel mercato europeo:

Sì, ho saputo tutto da Severini l’infame azione del Sig:r Pugni, dopo che feci per lui ciò che neanche era nelle mie forze: senza contare i pezzi di cinque franchi che freguentemente dovea dargli perché si moriva di fame, con sua moglie e sei figli; gli diedi duecento franchi per avermi copiato 4:° soli pezzi dei Puritani per Napoli: poi gli pagai 250: franchi per una copia intera, senza che la Società avesse bisogno, tanto che l’abbiamo ancora: e solo si fece a mie preghiere ec: ec: Mi levai degli abiti quasi nuovi per vestirlo come nell’inverno passato, come in quest’està: pregai delle Signore per dello spoglio per sua moglie, e gl’inviai due pacchi di robba ec: ec:[35]

Tratto da Le lettere di Casa Ricordi online

Note:

1 «Gioisca in uno ai miei genitori, e parenti; il suo Nipote ha avuto la sorte di fare tale incontro colla sua opera, che non sà esprimerlo, né ella, né tutti i miei, né io medesimo potea lusingarmi di tale esito»: così Bellini comunicava il successo del Pirata allo zio Vincenzo Ferlito il 29 ottobre 1827 (in VINCENZO BELLINI, Carteggi, edizione critica a cura di Graziella Seminara, Firenze, Olschki, 2017, p. 77; d’ora in poi Carteggi). Per agevolare la lettura, le citazioni dalle lettere belliniane saranno condotte rispettando scrupolosamente il dettato del testo ma tralasciando i segni diacritici, impiegati nell’edizione critica per segnalare integrazioni, scioglimenti, aggiunte interlineari, cancellature.

2 «[…] adesso il mio stile è incontrato nei primi teatri del mondo che sono stati e sono S Carlo, la Scala e la Fenice, ed è incontrato in modo da fanatizzare; perciò mi fò coraggio nello studiare e cercare di consolidare sempre più l’opinione che il publico di me prende, e che spera di vedermi formare un’epoca musicale»: lettera di Bellini a Vincenzo Ferlito del marzo 1830 (Carteggi, p. 215).

3 «I Puritani ora mi hanno messo nel posto che mi si dovea, cioè primo dopo Rossini»: lettera di Bellini a Vincenzo Ferlito del 1° aprile 1835 (Carteggi, p. 487).

4 STEFANO BAIA CURIONI, Mercanti dell’Opera. Storie di Casa Ricordi, Milano, Il Saggiatore, 2011, p. 45.

5 Nella citata lettera del 20 marzo 1829 Bellini scriveva ironicamente a Ricordi: «Non sò che pensieri tristi v’affligeano nel momento che mi scriveste la vostra lettera che jeri ho ricevuto; perché è sì tetra, che se non sapessi lo stato del vostro florido negozio, temerei un fallimento vicino!» (Carteggi, p. 186).

6 Lettera di Bellini a Giovanni Ricordi del 31 maggio 1829 (Carteggi, p. 192). Nella stessa lettera Bellini si affidava all’editore per il controllo della versione finale dello spartito: «Badate bene a fare accozzare con diligenza tutti gli rifatti mottivi del nostro Truzzi, per unirli al canto» scriveva il musicista (ibidem).

7 Lettera di Giovanni Ricordi a Bellini dell’11 giugno 1835 (Carteggi, p. 525). «Il far largo e patetico […] del canto di Bellini» derivava da una concezione classicista dell’intonazione vocale come espressiva ‘pronuncia’ della parola, fondata sul respiro ampio della melodia e sulla sobrietà della coloratura, che il musicista di Catania aveva appreso negli anni di studio a Napoli. Tale propensione al “canto spianato” fu avvertita dai contemporanei come qualità peculiare della musica belliniana, che venne definita “filosofica” per la stretta aderenza al testo poetico. «Pochi compositori in Italia se forse nessuno ai dì nostri conobbero come Bellini la necessità di una stretta colleganza della musica colla poesia, la verità drammatica, il linguaggio degli affetti, l’evidenza dell’espressione»: così il librettista Felice Romani avrebbe presentato l’arte di Bellini nel ricordo pubblicato sulla «Gazzetta piemontese» il 1° ottobre 1835, a pochi giorni dalla morte del compositore.

8 Carteggi, p. 334.

9 Lettera di Giovanni Ricordi a Bellini del 23 marzo 1835 (Carteggi, p. 483).

10 Si vedano ad esempio l’Avviso musicale pubblicato il 5 dicembre 1831 su «L’Eco». Giornale di Scienze, Lettere, Arti, Mode e Teatri» (IV/145, p. 619; Carteggi, p. 247) e la lettera Francesco Florimo del 4 settembre 1834 (Carteggi, p. 388)

13 «Gazzetta Ticinese», anno XXXIII, n. 43, 16 novembre 1833. L’avviso era datato «Chiasso li 20 ottobre 1833» ed era firmato «Per la direzione dell’Euterpe Ticinese» da «G. Cappella».

14 Lettera di Giovanni Ricordi a Bellini del 3 dicembre 1833 (Carteggi, p. 317).

15 Lettera di Giovanni Ricordi a Bellini, 16 luglio 1835 (Carteggi, p. 550).

16 Lettera di Bellini a Giovanni Ricordi del 3 giugno 1835 (Carteggi, p. 514). Proprio la consapevolezza di trovare maggior tutela in Francia aveva fatto maturare nel musicista la decisione di restare a Parigi: «Se la mia musica sarà adattata ai teatri francesi non temerò più d’ingiustizie: non vi sono leggi più savie di quelle della francia riguardo alla proprietà degl’ingegni! – Se uno vale mille, riceve mille; cento mila, cento mila» (lettera di Bellini a Florimo del 4 settembre 1834, Carteggi, p. 388).

17 Carteggi, p. 345.

18 Lettera di Giovanni Ricordi a Bellini del 14 settembre 1834 (Carteggi, pp. 391-392).

19 Ivi, p. 392.

20 Ibidem.

21 Lettera di Bellini a Giovanni Ricordi del 23 settembre 1834 (Carteggi, p. 399). Il termine «dupé» va inteso per “ingannato, imbrogliato”.

22 Lettera a Giovanni Ricordi a firma di Bellini e Alessandro Lanari del 30 aprile 1831 (Carteggi, p. 235).

23 Avviso musicale cit. (Carteggi, p. 247).

24 Lettera di Bellini a Filippo Santocanale del 14 giugno 1834 (Carteggi, pp. 362-363).

25 Lettera di Bellini ad Alessandro Lanari del 15 giugno 1834 (Carteggi, p. 365).

26 Lettera di Bellini a Giovanni Ricordi del 14 giugno 1834 (Carteggi, p. 361).

27 Lettera Giovanni Ricordi a Bellini del 31 luglio 1834 (Carteggi, p. 361).

28 Ibidem. Ricordi si riferiva alla rottura del legame sentimentale tra Bellini e Giuditta Turina, che si era determinata a seguito del litigio tra Bellini e Romani successivo al fiasco di Beatrice di Tenda e ripreso dai principali giornali di Venezia e Milano. In quell’occasione la relazione tra il musicista e Giuditta era stata resa pubblica e l’«impassibile» Ferdinando Turina (come lo aveva definito lo stesso Bellini in una lettera dell’11 gennaio 1830) aveva deciso di ripudiare la moglie e di dare inizio alle pratiche per una separazione legale.

29 Lettera Giovanni Ricordi a Bellini del 30 maggio 1834 (Carteggi, p. 354).

30 «Sono in cerca di piccole poesie per farvi le sei ariette»: lettera di Bellini a Giovanni Ricordi del 31 maggio 1829 (Carteggi, p. 192).

31 Si vedano le lettere scritte da Bellini a Venezia il 21 e il 27 gennaio 1833 (Carteggi, pp. 292-293, 294-295).

32 Esemplare la lettera di Ricordi del 23 ottobre 1833, nella quale l’editore rimproverava al musicista il mancato rispetto degli impegni assunti a suo tempo: « Sul proposito poi della Beatrice io mi lusingava che mi avreste fatti pervenire quei cangiamenti che voi avete riputati necessarj a rendere questo Spartito non inferiore agli altri vostri, e che mi avevate promessi; ma con mio sommo dispiacere ed anche con molto mio danno, veggo che le distrazioni di Londra e poscia quelle di Parigi vi hanno cacciato di mente questa promessa, la cui esecuzione avrebbe moltissimo contribuito a rivendicare pienamente il vostro lavoro dal torto che gli fecero i veneziani, ed avrebbe insieme aiutato me a rifarmi del molto denaro che spesi per questa proprietà» (Carteggi, pp. 312-313).

33 Ad esempio il 23 settembre 1834 Bellini scriveva a Ricordi: «Avrete un‘opera ricca di pezzi, riguardo che ho dovuto dare pezzi a tutte e quattro, e parti eguagli; perció l‘ho ridotta in due atti soli, e non tre, diversamente sarebbe finita a tre ore di mattina» (Carteggi, p. 299). Nella versione definitiva dei Puritani Bellini avrebbe ripristinato l’originaria articolazione in tre atti, ma con rilevani modifiche nella distribuzione dei diversi ‘numeri‘ musicali. Cfr. a tal proposito FABRIZIO DELLA SETA, Introduzione a Vincenzo Bellini, I Puritani. Opera seria in tre atti di Carlo Pepoli, a cura di Fabrizio Della Seta, tomo I, Milano, Ricordi, 2013 («Edizione critica delle opere di Vincenzo Bellini», vol. X), pp. XIXXXI.

34 Carteggi, p. 269.

35 Minuta di lettera di Bellini a Giovanni Ricordi datata «Puteaux 3: Settembre 35:» (Carteggi, p. 591).

 

© Ricordi & C. Milano, Via Brera 28 – La Nuova Gazzetta Musicale, N. 1, 08/01/2019.